Ed è anche una concezione restrittiva, in quanto la fisarmonica di oggi ha delle peculiarità e delle prerogative sue proprie che le permettono di presentarsi e di esibirsi senza bisogno di ricorrere ad una mera imitazione più o meno ben fatta.
Finchè la fisarmonica è stata considerata unicamente nelle sue vesti di strumento popolare, l’evoluzione della didattica fisarmonicistica era tesa per lo più a mettere in luce e privilegiare la preparazione della mano destra, magari ad esaltare la tecnica virtuosistica, intendendo però il virtuosismo in senso alquanto deleterio, come requisito necessario per far facile presa sul pubblico e non come capacità tecnica utile per esprimere i contenuti intrinseci della musica.
La mano sinistra era considerata un accessorio a volte del tutto trascurabile; gli accordi sui quali l’accompagnamento ritmico si basava erano già predeterminati, almeno quelli più generalmente in uso.
Era difficile, alcuni decenni fa, trovare un fisarmonicista che sapesse costruire una melodia seppur frammentaria con la mano sinistra e chi ne era capace suscitava l’ammirazione degli ascoltatori.
E’ senz’altro scontato che l’incapacità di poter eseguire con la mano sinistra suoni ad altezze reali, era una delle cause che avevano relegato lo strumento in un limbo di cosiddetti «strumenti poveri».
Ma questa era la situazione dei primi decenni del secolo; questa approssimazione e queste lacune didattiche e strutturali dello strumento non vanno considerate legate indissolubilmente alla «povertà» della fisarmonica. E per toglierci molti di questi complessi, basti pensare, per esempio, all’approssimazione dell’accordatura degli strumenti ad arco nel ‘600, alle diteggiature in uso sul clavicembalo, ecc.
Quale strumento non ha avuto bisogno nella sua storia di venire emancipato?
Ne di emancipazione vera e propria si può parlare agli albori del cammino della fisarmonica, solo per il fatto che alcuni grandi musicisti l’abbiano impiegata in alcune loro composizioni; su alcune enciclopedie questi sporadici inserimenti in brani del repertorio classico vengono giustificati unicamente «per l’ottenimento di effetti caratteristici, nonostante il suono di qualità mediocre».
La vera evoluzione, la fisarmonica, l’ha vissuta a partire dagli anni ’50 quando, nonostante l’ancora dominante pratica degli accordi predeterminati sulla tastiera sinistra, alcuni compositori, e non solo in Italia, hanno cercato di «nobilitare» l’uso dell’accompagnamento armonico e di rivalutare quindi l’apporto complessivo della mano sinistra. Era chiaro che ormai era maturo il tempo per riscoprire anche le enormi possibilità del mantice, della registrazione, oltre che delle possibilità tecniche della tastiera dei bassi.
Alcuni di questi musicisti hanno redatto metodi attraverso lo studio dei quali il livello tecnico di entrambe le mani doveva uscirne rafforzato; il contenuto musicale degli esercizi predisponeva l’allievo ad un accurato uso del mantice, a penetrare nel significato delle frasi musicali e quindi ad adeguare il tocco, la posizione, la diteggiatura ai fini dell’interpretazione.
Era ormai preparato il terreno per una ulteriore emancipazione che si è poi verificata con l’applicazione dei bassi con note ad altezze reali riproducenti una gamma di suoni estensibili a 3-4 ottave ed oltre, con la conseguente capacità di spaziare in un repertorio fino ad allora impraticabile.
La vecchia cultura e la nuova didattica fisarmonicistiche si sono integrate e compensate, dato che l’avvento dei bassi riproducenti suoni ad altezze reali non ha spodestato la tastiera tradizionale costituita da tasti riproducenti accordi predeterminati.
Ciò si è potuto realizzare grazie all’uso di un convertitore azionando il quale i bassi ad accordi predeterminati vengono convertiti in bassi cosiddetti «sciolti», oppure suddividendo la tastiera dei bassi in due zone distinte, ognuna avente rispettivamente le caratteristiche armoniche e melodiche.
La nascente letteratura, specialmente straniera, fiorita contemporaneamente all’evoluzione strutturale dello strumento, imponeva applicazioni didattiche nuove, invitava a seguire strade fino allora mai percorse, rendendo impervio il lavoro delle scuole italiane. Queste forze, purtroppo mai considerate dall’ambiente musicale ufficiale, a costo di sforzi che si possono facilmente immaginare, sono riuscite in molte occasioni a tenere il passo con scuole di altri paesi, dove invece le istituzioni musicali pubbliche avevano colto al volo la realtà della emancipazione della fisarmonica.
Molto spesso, ascoltando, criticando e magari copiando, i più volenterosi hanno aggiornato i loro sistemi didattici, anche se le difficoltà di raggiungere certi traguardi esecutivi venivano a cozzare con il problema di non poter pretendere dagli allievi assiduità, costanza e tenacia in uno studio ora ben più rigoroso che nel passato, senza il coronamento di un titolo di studio e quindi di uno «status» e di uno sbocco professionale.
L’unico conforto è stata la constatazione che certe sperimentazioni didattiche non erano poi da considerare poco accurate o avventate se permettevano ai nostri fisarmonicisti di non sfigurare in competizioni internazionali e addirittura di vincerle.
E’ innegabile che a volte abbiamo ovviato con l’estro e l’eclettismo tipicamente italiani a lacune tecniche evidenti e ovvie, dato il tipo di studio dilettantistico al quale eravamo e siamo, speriamo ancora per poco, costretti e relegati.
Abbiamo preso atto di tali lacune e ne abbiamo fatto oggetto di studio e di attenta analisi allo scopo di continuare a migliorare nonostante le difficoltà. Come si sono potuti conseguire questi successi anche se parziali?
Prima di tutto attraverso la fiducia e la convinzione che dallo strumento fosse possibile ottenere risultati tecnici e musicali eccezionali. Si è lavorato moltissimo, innanzitutto, sull’uso del mantice, considerandolo nello stesso tempo pedale espressivo e archetto, rendendosi conto che era possibile governarlo in funzione del fraseggio e dell’articolazione e far godere la musica di tutti quei giochi intrinseci alla frase che un semplice crescendo e diminuendo di pedale non può evidenziare. Lo stabilire, come per gli strumenti ad arco (dei quali si usano i simboli) le aperture e le chiusure del mantice, è una prassi ormai adottata dalle serie scuole di fisarmonica; l’accuratezza delle inversioni, gli accenti, il tremolo, la morbidezza, la tensione, fanno parte infatti di una problematica che presenta molte analogie con quella degli strumenti ad arco.
Anche l’ottenimento di effetti speciali largamente in uso nella letteratura contemporanea, vede nel mantice l’artefice primario di realizzazioni sonore tipicamente fisarmonicistiche; basti pensare all’oscillazione ritmica del mantice, al vibrato, al tremolo.
Unitamente all’interesse prestato per esaltare i risultati tecnico-musicali ottenibili con il mantice, la didattica fisarmonicistica ha rivolto la sua attenzione al tocco, elemento interpretativo che non sempre era stato valutato appieno nella sua importanza, data la meccanica di trasmissione dei tasti.
Studi appropriati sull’articolazione delle dita, magari con riferimento ai testi di didattica pianistica, hanno permesso un miglioramento nell’indipendenza di tutte le dita, indipendenza che possa permettere una ragionata differenza nel tocco e che dovrebbe far dimenticare che il tasto è collegato ad un meccanismo che ne regola l’immissione dell’aria nelle soniere su cui sono disposte le ance, dando l’impressione di agire sul meccanismo in modo più partecipe e diretto.
Lo studio dei più diversi tipi di legato e staccato, di fraseggi indipendenti su entrambe le tastiere, il ricercare morbidezza, incisività o pesantezza secondo le esigenze musicali, porre nel giusto rilievo la varietà infinita di accenti e di inflessioni con cui animare l’esecuzione, tutto ciò ha rappresentato il traguardo da raggiungere per i cultori più seri della didattica fisarmonicistica.
Anche la produzione dello strumento, grazie alle prese di coscienza di un numero sempre maggiore di fisarmonicisti e di insegnanti, si è andata adeguando per poter soddisfare le esigenze sempre più complesse e raffinate del mondo fisarmonicistico e a rispondere prontamente alle sue sollecitazioni.
I costruttori, anche se spesso costretti dal punto di vista economico a produrre su scala industriale, il che ha permesso il contenimento dei prezzi almeno per le fisarmoniche da studio, non hanno rinunciato alla produzione artigianale per i tipi migliori.
La qualità del suono viene curata in modo particolare, basti accennare alle voci in «cassotto», cioè alla collocazione di parte o di tutte le soniere in una cassa di risonanza particolare, alla sordina che attenua l’emissione del suono, alla possibilità di inserire e di aggiungere a vari registri, alcuni suoni armonici, con il risultato di un impasto di voci più colorito e più caldo, all’accuratezza dell’accordatura alla quale ripetutamente vengono sottoposte le voci.
Concludendo, l’evoluzione strutturale timbrica e meccanica dello strumento, l’evoluzione della sua didattica, la consistente e tenace schiera dei suoi cultori, la buona letteratura italiana e straniera e, perché no?, la sua anima popolare da non rinnegare perché costituisce la sua ricchezza e non la sua miseria, tutto questo richiede a gran voce che lo strumento possa essere senza remore accolto in tutte le strutture musicali pubbliche.
Nobilitando professionalmente l’impiego della fisarmonica si allargherebbero le possibilità di accesso al vasto e fantastico mondo dei suoni a quegli strati sociali per i quali la cultura musicale si identifica quasi esclusivamente con la fisarmonica.
Con l’entrata dello strumento in tutti i conservatori di Stato, la didattica potrà godere di quello sviluppo riscontrato in tutti quei paesi dove il suo studio è stato ufficializzato e riconosciuto. Esistono ormai a tutti i livelli le basi su cui poggiare e i presupposti più solidi.
E’ stato a questo proposito approntato dall’Associazione Nazionale Insegnanti Fisarmonica (Anif) ed è già studiato dagli allievi degli ancora troppo pochi conservatori musicali italiani dove la fisarmonica ha fatto il suo ingresso, un programma articolato di studio, frutto delle esperienze delle nostre scuole di fisarmonica classica, che ha come obiettivo il raggiungimento di una preparazione tecnico-musicale che possa permettere allo strumentista quella maturazione che tutti noi auspichiamo e che, a sua volta, consentirà di non privare l’espressione musicale di un nuovo qualificato e differenziato apporto.
FONTE -“Sviluppo tecnico e costruttivo della fisarmonica ed evoluzione didattica » prof.ssa Eugenia Marini
(Comune di Castelfidardo, Atti del convegno “La fisarmonica in conservatorio» -25 gennaio 1983).
Comune di Castelfidardo